I 
        rifugi del Corno Bianco  
      (Cliccare 
        sulle foto per vederle ingrandite) 
       
        Nel 1992 fu inaugurato sulle pendici del Corno Bianco, l’ultimo rifugio 
        eretto dalla nostra Sezione: il rifugio Abate Carestia. Situato all’Alpe 
        Pile a 2201 m. in una magnifica posizione panoramica sulla Val Vogna 
        è nato per sostituire il primo Punto d’Appoggio creato 
        nel lontano 1974 dalla nostra Sezione e collocato all’alpe Rissuolo, 
         ma reso ormai inadeguato a causa dell’aumento dei frequentatori. 
       
           
        
       
       
         
         Il nuovo rifugio Carestia 
       
         Ma già tanto tempo fa, altri progetti 
        di costruzione di rifugi interessarono la zona,  per renderne più 
        agevole l’accesso ed abbreviare così la lunga salita all’impegnativa cima 
        del Corno Bianco ed alle altre non meno faticose vette circostanti. Da 
        molto se ne sono perse le tracce ma cercherò di ricostruire la loro storia. 
       
        La mia curiosità iniziò osservando il risguardo di un libro sulla Val 
        Vogna edito pochi anni 
        fa e che riportava la fotografia di un vecchio pannello segnaletico sul 
        quale, tra le altre indicazioni, era scritto: “Rifugio Abate Carestia 
        m. 3150 ore 6”. Spontanea mi nacque una domanda: dato 
        che l’attuale rifugio Carestia sorge a 2201 metri non può essere 
        quello, dunque molto tempo fa doveva essercene un’ altro, ma dove? Per 
        via della quota riportata, il Carestia doveva 
        per forza trovarsi nella zona Corno Bianco - Punta Ciampono 
        – Punta di Netschio uniche vette  della 
        Val Vogna a superare i 3100 metri, ma nel 
        corso delle numerose  precedenti salite a queste punte mai mi pareva 
        di avere incontrato i resti di quello che poteva sembrare un edificio. 
        L’unico posto adatto ad accogliere una struttura era quel piccolissimo 
        spazio  quasi pianeggiante  delimitato da una serie di sassi 
        disposti a forma di rettangolo che si trova 
         proprio sulla punta del Corno Bianco e che mi aveva ospitato durante 
        un mio voluto bivacco circa 15 anni fa. Ma 
        c’era una discordanza:  era in punta quindi a 3320 metri e non a 
        3150. 
       
           
        
       
        
       
        
       
       
        Il cartello ancora visibile sul muro di cinta della 
        chiesa di Riva Valdobbia 
       
        Interessai un componente di un’altra Commissione 
        del CAI che incuriosito, fece fare una ricerca nell’archivio del comune 
        di Riva Valdobbia, ma i risultati  furono 
        deludenti: per via delle informazioni a disposizione che erano praticamente 
        inesistenti, nulla risultava di un rifugio in valle Vogna  
        a quella quota.  Però c’era il cartello,  
        e quindi da qualche parte doveva esserci stato anche il ricovero. Escluso 
        il sopraddetto archivio mi rimanevano, tra 
        le altre, due possibilità di ricerca: la biblioteca e  l’archivio 
        sezionali. Presso la biblioteca ho consultato alcune pubblicazioni: non 
        trovando nulla né sulla Rivista del CAI né sul Bollettino ho diretto le 
        mie ricerche verso altri testi. Uguale risultato mi ha riservato la consultazione 
        de “Il Corno Bianco” di Amadeo Luigi Morera 
        pubblicato nel 1947 e di “La valle Vogna e 
        Ca’ di Janzo” 
        scritto da G. Toesca di Castellazzo, 
        F. Gerbaldi e 
        N. Vigna. Però a pag. 56 del testo “Valsesia 
        e Valle Vogna” scritto nel 1907 da Emilio 
        Pagliani è riportato che nel 1877 poco sotto 
        la punta del Corno Bianco fu costruito un rifugio che però già all’inizio 
        del 1900 era diroccato. Don Luigi Ravelli, 
        nella sua celeberrima opera “ La Valsesia 
        e il Monte Rosa” a pag. 270 descrivendo la salita al Corno Bianco per 
        il passo d’Artemisia cita “…Al di là del 
        passo si sale per un largo canalone semierboso seguendo i triangoli rossi 
        accoppiati e  le poche tracce di sentiero: si passa quindi a sinistra 
        in un piccolo canale collaterale che sbuca sulla cresta sud-est e  si 
        guadagna la vetta passando per la vecchia capanna…”. 
       
        Il Tonetti nella sua altrettanto famosa “Guida 
        della Valsesia” ci fornisce un altro breve 
        cenno:  a pag. 425, troviamo queste poche righe: “…..e 
        poi tenendo dietro alle guide di pietra che segnano la via da tenersi, 
        risalire di greppo in greppo, e dopo un’altra ora di salita si toccherà 
        l’agognata cima. Presso la sommità nel 1877 si eresse un piccolo ricovero, 
        ora inservibile.”  Questa guida è 
        stata edita nel 1891 e quindi accorcia ulteriormente il periodo di 
         utilizzo di questa struttura. 
       
            
         Il piccolo spiazzo sulla cima del Corno Bianco 
       
         Cercando sul “Monte Rosa” della collana “Guida dei monti d’Italia” 
        scritto  nel 1960 da S. Saglio e F. 
        Boffa,  a pag. 408 troviamo scritto: 
        “…Seguendo questa facile cresta si sorpassa il sito in cui era stata costruita 
        una capanna e si raggiunge la vetta…”. Nell’edizione seguente scritta 
        nel 1991 dal compianto Gino Buscaini, troviamo 
        l’accenno alla capanna tra le note generali sul Corno Bianco e riporta 
        anche qui che era “già diruta nel 1900”. 
        Certo è che almeno qualcuno ci ha pernottato per qualche tempo. Accadde 
        tra la fine di luglio e l’inizio di agosto 
        del 1881. Infatti su “ 1857-1907 - Album degli 
        ascensori del Corno Bianco alto metri 3317” presente in copia dattiloscritta 
        presso la Biblioteca “Italo Grassi” ed in copia originale presso l’archivio 
        sezionale, in data 2 agosto 1881 troviamo scritto  “ Soldato Candeloro 
        Rocco 1° Reggimento Genio 2° Compagnia Zappatori: dormito alla Capanna 
        Corno Bianco giorni otto patito molto freddo per lavori geodetici con 
        un ingegnere dello stato Maggiore signor Derchi 
        Francesco. Addio Corno Bianco”. Poco sotto si 
        firma anche un altro soldato: “ 2° Regg.to 
        Genio 4° Compagnia Zappatori Soldato Pardini 
        Lorenzo 2 agosto 1881”  Curioso invece lo scritto che ha lasciato 
        il Derchi poco sopra queste righe: “Derchi 
        Francesco ingegnere dell’Istituto Topografico Militare incaricato di eseguire 
        la stazione geodetica del Corno Bianco ha soggiornato su detto luogo dal 
        27 luglio al 2 agosto 1881 e si ripromette di non tornarvi mai più”. 
        La sottolineatura è sua. Questo è l’unico accenno ad un pernottamento 
        che ho trovato. 
        
           
        Così poteva presentarsi il primo 
        rifugio (da un disegno di E. Whymper) 
       
        Ho trovato altri cenni in un articolo di Carlo Toesca 
        di Castellazzo comparso sul n. 39 della Rivista 
        Valsesiana edita nel maggio del 1909: “…essendo 
        quasi completamente distrutto un piccolo ricovero in pietra che sorgeva 
        non lungi dalla vetta, gioverebbe che la Sezione valsesiana 
        del Club Alpino Italiano promovesse la costruzione d’una nuova piccola 
        capanna….” Questo articolo è corredato 
        da un’interessante schizzo della zona dove 
        è riportata la presenza del ricovero appena prima della vetta. Ma 
        tutto ciò porta ad un altro interrogativo: l’Abate Carestia è mancato 
        nel 1908, possibile che gli abbiano dedicato un rifugio mentre era ancora 
        in vita? Certo che no, quindi gli accenni sopra riportati riguardano un 
        altro rifugio che probabilmente poteva essere sul tipo di uno di quei 
        ricoveri molto spartani coi muri fatti di pietre 
        che a volte si trovano in mezzo alle  giavine 
        o vicino a qualche grosso sasso. Spesse volte sono opera di cacciatori 
        che cercano così di ripararsi alla benemeglio 
        dal gelo notturno e dal vento durante gli appostamenti in 
        attesa delle prede. Questo giustificherebbe anche la breve durata della 
        struttura. Ma perché costruire un ricovero quasi sulla punta,  quando, 
        ad esempio, si poteva utilizzare una più comoda balma 
        sotto un grosso macigno che ancora si trova 
        nelle vicinanze del Lago Nero e che offriva anche il notevole vantaggio 
        di dividere in due il forte dislivello della salita? Forse che  si 
        mirasse ad offrire agli alpinisti lo stupendo spettacolo dell’alba e del 
        tramonto sul Monte Rosa, sulle punte circostanti e sulla pianura Padana 
        ? In fin dei conti questo è stato uno dei tanti motivi che hanno 
        portato, qualche anno dopo, nel 1893 alla costruzione della Capanna Osservatorio 
        Regina Margherita sulla punta Gnifetti e quindi 
        niente di più facile che lo stesso motivo possa 
        aver portato all’edificazione di quello che, alla luce dei pochi documenti 
        trovati, risulta essere il terzo rifugio alpino costruito in   
        Valsesia, dopo l’Ospizio Sottile (1823) e dopo  il ricovero 
        spartano che poi diventerà  la Capanna Gnifetti 
        (1876), in quanto la capanna Vincent fu costruita 
        sì nel 1795, ma per servire da ricovero ai minatori che lavoravano nelle 
        vicine miniere, anche se poi è stata utilizzata sporadicamente come base 
        di partenza per gite sul Monte Rosa. La scelta di non posizionare il ricovero 
        sulla punta potrebbe essere una conseguenza della grande frequenza con 
        cui i fulmini la colpiscono, ma non credo che la cresta  sud-est 
        sia immune da questo pericolo. 
       
           
       
       
        
       
       
        Dalla punta uno sguardo verso il Monte Rosa 
                            
       
        La ricerca nell’archivio Sezionale mi ha riservato 
        alcune sorprese: dalla relazione non datata che l’allora Presidente della 
        Sezione Conte Luigi d’Adda Salvaterra fece 
        all’Assemblea dei Soci,  forse nel 1876, apprendiamo che la Sezione 
        aveva progettato nel corso dell’estate la costruzione di una “tettoia” 
        per facilitare l’ascensione alla punta: “ … Altro obbligo nostro era 
        pur quello di far costruire in vetta al Corno Bianco una specie di tettoia 
        o altro che servirebbe di rifugio in certe occasioni agli alpinisti che 
        sogliono spesso farne l’ascensione…”  Nel verbale della seduta 
        del Consiglio Sezionale tenutasi nel lontano 15 ottobre 1876 troviamo 
        un altro cenno di posticipo dei lavori: “…che non si è potuta compir 
        nell’annata la capanna al Corno Bianco, ma che  tutto è in pronto 
        perché anche questa decisione della Società sia alla ventura buona stagione 
        completata…”. Come sappiamo la realizzazione di questo progetto veniva 
        rimandata ed attuata nell’anno seguente. Ciò fu dovuto 
        non solo probabilmente a causa delle spese sostenute per la costruzione 
        della Capanna Gnifetti che avevano assorbito 
        gran parte delle risorse finanziarie della Sezione,  ma anche in 
        seguito a divergenze di opinioni sia sulla modalità sia sul luogo di costruzione 
        del riparo.  
       
        Nel settembre scorso, salendo al Corno Bianco per “curiosare” 
        e prestando maggiore attenzione,  ho individuato un posto ove 
        poteva trovarsi questo ricovero. E’ situato  circa 30 metri sotto 
        la cima ed è alla base di una roccia quasi verticale alta circa  3 
         metri che poteva servire da parete laterale e da appoggio per il 
        tetto. Quasi 130 anni di gelo e disgelo ed i fulmini hanno fatto sì che 
         grossi sassi cancellassero quasi del tutto le tracce di questo piccolo 
        spiazzo, ma credo che, senza la spolverata di neve caduta qualche giorno 
        prima, e con più tempo a disposizione di quanto ne 
        avessi io in quel momento, si potrebbe trovare ancora qualche labile 
        traccia della struttura. 
       
           
       
         
         
         
         
         
         
         
         
            La "tettoia" poteva sorgere qui: si può ancora 
        vedere una piccola zona priva di sassi 
      In 
        più, sempre in archivio, ho trovato il rifugio Carestia, o perlomeno il 
        suo progetto di edificazione ed alcuni documenti. 
        Nell’agosto del 1913   la nostra Sezione diede l’incarico a 
        un gruppo di persone di trovare il luogo sul Corno Bianco più indicato 
        per la costruzione di un rifugio da dedicare al famoso Abate valsesiano 
        e di cui già tanto si era parlato nell’ambiente sezionale. Nel verbale 
        della seduta di consiglio del 9 novembre 1913  leggiamo i nomi dei 
        componenti della commissione: l’avvocato Basilio 
        Calderini in qualità di Presidente della Sezione, 
        l’avvocato Gianni  Caron, il falegname Antonio 
        Carestia, Giuseppe  Gugliermina, Giuseppe 
        Lampugnani, il Conte Carlo Toesca, 
        il capitano Michele Verno, ed infine il sindaco 
        di Riva Michele Jachetti. Come vediamo sono 
        riconfermati i componenti di una  precedente 
        commissione di cui parlerò tra poco. Questo è l’ultimo accenno alla suddetta 
        commissione che ho trovato. 
                  
        Tuttavia, facendo un breve salto indietro nel tempo e leggendo un altro 
        verbale, risulta che su richiesta del CAI di 
        Varallo il 27 giugno del 1909 il Consiglio 
        Comunale di Riva Valdobbia riunito in tornata 
        straordinaria, approvò l’idea della costruzione nella zona Corno Bianco 
        di un rifugio intitolato all’illustre botanico concittadino, rincrescendosi 
        però di non poter partecipare alle  relative spese a causa di altri 
        impegni finanziari precedentemente assunti. Quindi si passò alla ricerca 
        del sito più opportuno, incarico a cui furono 
        delegati Antonio Carestia falegname, Michele Jachetti, 
        sindaco di Riva Valdobbia,  Michele Verno 
        e Giovanni Lanfranchi. I risultati non si 
        fecero attendere: nell’agosto  del 1910 il Consiglio Sezionale del 
        CAI Varallo riceveva una lettera con l’esito 
        della ricerca. Riporto testualmente: “…Recatisi alla sommità del vallone 
        del Forno e poi al Lago Nero (quota  m. 2702), esaminate con ogni 
        diligenza le località, considerate le difficoltà delle strade, le comodità 
        per gli alpinisti che intraprenderebbero le ascensioni da Riva  
        Valdobbia, Alagna,  
        Gressoney, la distanza della vetta, dopo ponderato esame sarebbero 
        venuti nella determinazione di proporre a codesta 
        On.le 
        Direzione come luogo più indicato, l’ultimo altipiano del vallone 
        del Forno...” Dalla stessa lettera apprendiamo le precise caratteristiche 
        del sito scelto, che era a ridosso della cresta che divide questo vallone 
        da quello del Rissuolo, in luogo molto prossimo 
        all’acqua, esposto al sole ed al riparo dalla caduta di valanghe, e cosa 
        non ultima come importanza, vicina a materiale che poteva essere utilizzato 
        per il basamento.  
        
          
        
       
        "... l'ultimo altipiano del vallone del forno..." 
          
      Nel 
        verbale della seduta di Consiglio del 6 gennaio 
        1913 troviamo una nuova proposta del Cav. 
         G. Gugliermina circa il luogo di 
        edificazione per il rifugio, che, secondo lui, doveva essere in 
        cima al vallone del Rissuolo a circa 2 ore 
        di cammino dalla punta del Corno Bianco. Nella seduta successiva del 18 
        aprile l’avvocato Caron ipotizzava che, in 
         alternativa alla dispendiosa spesa per un 
        nuovo rifugio, si poteva utilizzare una stanza nelle baite dell’alpe Pissole, 
        all’imbocco del vallone del Forno. Preso atto di questa nuova proposta 
        venne dato il via ad  una pubblica sottoscrizione 
        per raccogliere la somma necessaria, e fu stilato un preventivo di massima 
        che prevedeva una spesa di circa 2000 lire di allora.  La sottoscrizione 
        in poco tempo raccolse 500 lire nel solo comune di Riva, mentre altrettante 
        si sperava fossero raccolte da quello di Alagna. 
        Si contava inoltre sui prevedibili stanziamenti  provenienti dalla 
        Sede Centrale del CAI e naturalmente dalla Sezione di Varallo, 
        che aveva già assegnato al progetto la cifra di £. 500.   Però 
        Antonio Carestia, forte dell’esperienza acquisita nella costruzione dei 
        rifugi Gnifetti e Margherita, trovò il primo 
        preventivo del tutto insufficiente  a coprire le spese che secondo 
        lui sarebbero arrivate al doppio della cifra 
        stabilita. Nel frattempo si trovò il fornitore per le piante da cui ricavare 
        la travatura del tetto  disposto a venderle alla modica cifra di 
        5 o 6 lire l’una e si riuscì a strappargli la promessa di regalare una 
        parte del legname necessario. Finito il rifugio sarebbe risultato 
        di circa m. 6 x 3. 
      Quali 
        siano state le difficoltà incontrate successivamente 
        non è dato sapere, certo è che il rifugio non fu edificato, probabilmente 
        a causa dell’elevato costo sia del materiale sia della mano d’opera.  
           
       
            Il 
        disegno della capanna eseguito dal falegname A.. Carestia 
             
                  
        Di esso rimane solo il cartello segnaletico 
        che per qualche strano motivo è stato realizzato prima  del rifugio 
        stesso e che ancora adesso si può vedere sul muro che circonda la chiesa 
        di Riva Valdobbia. 
      Passò 
        ancora qualche anno e nel 1942, in pieno periodo bellico  
        si iniziò nuovamente a  parlare di un rifugio su Corno Bianco. 
        Il 2 ottobre si spegneva a Borgosesia l’ingegnere 
        Luigi Scaramiglia.  Appassionato da sempre 
        di montagna, nella quale, come lui stesso affermava,  trovava conforto 
        nei momenti difficili, lasciava al CAI di Varallo 
        una somma di lire 30.000 per la costruzione di un rifugio a lui intitolato 
        da erigersi nella zona del Corno Bianco a lui tanto caro. Nel testamento 
        olografo leggiamo: “ Per l’amore mio in silenzio e da persona solitaria, 
        che da sempre ho nutrito verso la montagna, per la pace che giammai invano 
        presso di essa ho cercato trovando più sopportabile 
        la vita nelle ore più tristi, per la salute di spirito e di corpo di cui 
        mi fu sempre apportatrice, lascio al Centro Alpinistico 
        Italiano (Sezione di Varallo Sesia)  
        £ 30.000 (trentamila) nominali …… con l’obligo 
        di costruire ad altezza non inferiore ai 2000 metri, in territorio  
        valsesiano preferibilmente nella zona del monte  Corno Bianco, 
        una capanna – rifugio che porti il mio nome e cognome…” Due erano 
        i vincoli legati al lascito: la somma  donata non poteva essere utilizzata 
        per scopi diversi da quello indicato, come per esempio per  ingrandire 
        un  rifugio già esistente, ed il lavoro doveva essere iniziato entro 
        due anni dalla morte, altrimenti il legato sarebbe passato al comune di 
        Quarona che, unitamente ad un altro lascito 
        di £ 500.000,  lo avrebbe utilizzato per la costruzione della strada 
        per la frazione Cavaglia., località  
        in cui lo Scarmiglia aveva la propria residenza valsesiana. 
      In 
        data 26 novembre 1943 il Presidente sezionale di allora Cav. 
        G. Gugliermina chiese alla Reggenza del CAI 
        di Milano l’autorizzazione ad accettare il lascito, che venne 
        accordata il successivo 17 dicembre. Il 28 febbraio del 1944 il Consiglio 
        Direttivo della Sezione deliberò l’accettazione del lascito, ma  
        occorse ancora qualche mese prima di poter  
        entrare in possesso della somma: ciò avvenne il 29 settembre 1944, ed 
        il lascito fu depositato su un libretto a risparmio intestato a: CAI  
        Varallo = Legato ing. Luigi Scarmiglia = pro rifugio Corno Bianco 
         aperto presso la Cassa di Risparmio di Vercelli Agenzia di Varallo. 
      La 
        nostra sezione intanto incaricò l’ingegnere 
        Turcotti di Borgosesia 
        di preparare un progetto per il rifugio. Questo progetto prevedeva la 
        costruzione di una struttura avente le dimensioni esterne di m. 3.50 x 
        5.50 ed un’altezza alla base del tetto di m. 2.00. L’inizio dei lavori  
        era previsto entro settembre del 1945,  ma nel contempo fu presa 
        in considerazione la possibilità di chiedere una dilazione dei due anni 
        concessi per l’inizio della costruzione del rifugio a causa della 
        guerra. La svalutazione della lira nel frattempo ridusse il lascito a 
        26.000 lire e ci si rese conto che questa cifra, pur sommata a quella 
        raccolta in occasione del precedente progetto di rifugio,  risultava 
        insufficiente per la costruzione ex novo di una struttura. In una data 
        imprecisabile tra il 27 luglio del 1945, data nella quale il Consiglio 
        Sezionale rassegnò le dimissioni rese necessarie 
        dalla fine della guerra, e l’ 8 novembre 1945, data riportata sulla lettera 
        inviata dal comune di Quarona, nella quale 
        il CAI di Varallo veniva informato che il 
        Consiglio Comunale, avuto sentore di un possibile rifiuto del lascito, 
        aveva già provveduto deliberare l’eventuale accettazione dello stesso, 
        fu indetta un’assemblea presso la Sede Sociale per definire la questione 
        relativa al rifugio. L’ing. Turcotti dopo 
        aver consegnato il progetto del rifugio ne preventivava la spesa intorno 
        alle 60.000 lire che risultavano così suddivise: 
        muratura a secco in pietrame per pareti perimetrali £ 6.200; muratura 
        a secco per fondamenta £ 3.600; muratura a secco per pianerottolo in facciata 
        £ 730; pavimento in pietra per pianerottolo facciata £ 500; gradini rozzi 
        in pietra £ 500;  rinzaffatura giunti 
        esterni della muratura escluso lo zoccolo £ 3.800; pavimento con travetti 
        £ 2.800; tetto con capriate £ 13.000; infissi £ 2.020; imprevisti £ 1.850. 
        A questo totale di £ 35.000 andava ancora aggiunta la spesa per la mano 
        d’opera ed il vitto per gli operai. 
       
              
              
               
        Tre disegni del rifugio Scaramiglia tratti dal progetto 
        dell'ing. Turcotti 
      Nacque 
        così l’idea di utilizzare una baita già esistente e gli occhi della Sezione 
        si puntarono su una delle due baite esistenti all’alpe  
        Granus in val d’Otro. 
        Ma i proprietari,  che non volevano vendere, 
        concessero il solo utilizzo di una stalla della quale autorizzarono l’innalzamento 
        il tetto in modo da poterla poi da adibire a rifugio, riservandosi però 
        la proprietà  dell’immobile completo. Questa situazione fu però giudicata 
        inaccettabile. Inoltre era impossibile  per la Sezione assumersi 
        la responsabilità di una spesa atta a coprire la cifra mancante stimata 
        intorno alle 30/40.000 lire: i rifugi già esistenti erano in precarie 
        condizioni, ed a causa della guerra anche la Sede stessa aveva bisogno 
        di urgenti lavori di sistemazione.  Si 
        scelse così di rinunciare al lascito che, a causa dell’inflazione galoppante, 
        si era ulteriormente ridotto.   
        
       Esaminando 
        i verbali delle assemblee sezionali e delle 
        sedute di Consiglio, ho trovato un accenno anche ad un quarto rifugio. 
        Nel verbale della riunione del Consiglio Direttivo tenutasi il 24 ottobre 
        1942, il Presidente sezionale Cav. Gugliermina 
        relaziona circa un sussidio offerto dal Duce 
        per la costruzione di un rifugio che avrebbe dovuto sorgere sulla sponda 
        settentrionale del Lago Grande di Tailly. 
        Il progetto era stato sottoposto all’attenzione del Duce dal socio Senatore 
        Conte Aldo  Rossini di Valgrande 
        ottenendo subito la sovvenzione base di £. 50.000. Per offrire agli 
        alpinisti quanto prima la possibilità di un ricovero, stante la 
        non imminente possibilità di attuazione del progetto, si stabilì di    
        prendere contatti con i proprietari degli alpeggi della  
        val d’Otro    al fine 
        di poter utilizzare una stanza di una baita già esistente come ricovero 
        per chi era diretto al Corno Bianco. In particolare, erano già stati presi 
        i primi contatti con il proprietario dell’alpe Tailly 
        per un sopralluogo da effettuarsi nella primavera 
        dell’anno successivo. Il suo consenso avrebbe permesso la riduzione di 
        circa tre ore il cammino del secondo giorno.  Come per gli altri 
        rifugi non risultano ulteriori informazioni 
        che ci possano delucidare sulle motivazioni che portarono all’annullamento 
        del progetto. 
         
        
            
        Il Punto d'Appoggio all'Alpe Rissuolo come si presenta 
        oggi 
        Dovevano 
        passare circa 30 anni per vedere finalmente realizzata l’idea di una struttura 
        che ospitasse gli alpinisti diretti al Corno 
        Bianco ed alle altre cime che lo attorniano,  ma questa è storia 
        dei nostri giorni. Ormai anche la baita all’alpe Rissuolo 
        che ha ospitato tanti alpinisti diretti alle punte  
        circostanti è caduta in disuso ed al suo posto possiamo usufruire 
        di tutte le comodità offerte dal nuovo rifugio Carestia.  
      Molti 
        sono gli interrogativi che questa ricerca lascia in sospeso, e ne segnalo 
        solo qualcuno. Ad esempio l’iniziativa di costruire un rifugio dedicato 
        all’Abate Carestia, è partita dal comune di Riva Valdobbia 
        oppure dalla nostra Sezione? A questo proposito devo specificare che ho 
        trovato due documenti che recano notizie  contrastanti ambedue della 
        stessa importanza: un verbale di seduta del Consiglio Comunale di Riva 
        tenutasi il 27 giugno 1909 che attribuisce questa 
         iniziativa alla nostra Sezione, ed il verbale dell’Assemblea dei 
        Soci CAI  del 6 gennaio 1913 che assegna l’idea al Comune di Riva. 
        Per il progetto del rifugio Carestia ho trovato la relazione presentata 
        al direttivo della Sezione dai componenti della 
        prima commissione istituita per la scelta del luogo più idoneo alla costruzione 
        del rifugio, ma da un verbale risulta che la seconda commissione è stata 
        creata proprio perché la prima non aveva portato ad alcun risultato. Perché 
        non è stata unita la somma lasciata dallo Scarmiglia 
        a quella donata dal Duce in modo da avere una cifra più alta da destinare 
        alla costruzione del rifugio?  C’è da dire che per tutto il 1943 
        non risultano né verbali di Assemblee dei Soci 
        né riunioni di Consiglio. Ed infine: lo Scarmiglia è mancato nel 1942 
        e logicamente i due anni di tempo per la costruzione del rifugio scadevano 
        nel 1944, ma in ultima analisi l’inizio dei lavori era previsto per l’estate 
        del 1945 e sempre in quel periodo veniva ipotizzata 
        la richiesta di proroga del limite  di tempo consentito. Sono piccole 
        curiosità che contribuiscono a rendere vivo il mio interesse su questo 
        argomento. 
        
      Ancora 
        tanto ci sarebbe da scrivere: si potrebbe estendere la ricerca all’Archivio 
        di Stato di Varallo, ed alla Pro Loco di Riva 
        che tanti anni fa ha posizionato il cartello 
        che mi ha incuriosito; Inoltre sono sicura che con i dati certi che abbiamo 
        ora, ma che mancavano all’epoca della prima ricerca, sia possibile rintracciare 
        qualche documento all’Archivio Comunale di Riva. Purtroppo però una parte 
        della documentazione che potrebbe interessare è andata irreparabilmente 
        persa a causa dei saccheggi a cui la sede della nostra Sezione è stata 
        sottoposta in periodo bellico e perciò sarà difficile riuscire a  
        ricostruire tutta la storia di questi rifugi. E’ una piccola parte della 
        storia della nostra Sezione che non potremo più conoscere a fondo. 
        
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